LETTERA 17
Mio caro Sanguisuga,
il modo sprezzante con il quale tu parli della ghiottoneria come strumento di uccellagione delle anime, nella tua ultima
lettera, mostra soltanto la tua ignoranza. Uno dei grandi successi degli ultimi secoli è stato proprio l'indebolimento della
coscienza su questo soggetto, così che adesso troverai difficilmente un sermone, una predica o una coscienza turbata dal
peccato della gola in tutta l'Europa in largo e in lungo. Abbiamo ottenuto questo effetto concentrando tutti i nostri sforzi
sulla ghiottoneria delle Delicatezze, piuttosto che sulla ghiottoneria dell'Eccesso. La madre del tuo paziente, come ho letto
sul dossier e tu dovresti aver appreso da Bavoso, è un buon esempio. Ella sarebbe stupita - un giorno, spero, che resterà di
stucco sul serio - ad apprendere che per tutta la vita è stata schiava di questo tipo di sensualità, che le è del tutto nascosta
dal fatto che le quantità coinvolte sono piccole. Ma che cosa importano le quantità, se possiamo usare il ventre ed il palato
umano per produrre querule richieste, impazienza, mancanza di carità e irritazione? Bavoso tiene questa vecchia donna
saldamente nelle mani. Essa è un flagello di terrore per cameriere e servitù. Sempre storcendo il naso da quello che le viene
offerto per dire con un modesto piccolo singhiozzo e un sorriso patito "Oh, per favore, per favore... Tutto ciò che desidero è
una tazza di tè, leggero ma non troppo, e una trancettina piccina picciò di un toast realmente ben tostato". Hai capito?
Poiché quello che vuole è più piccolo e meno costoso di quello che le è stato offerto, giammai riconoscerà come ghiottoneria
la sua determinazione di avere quello che vuole, per quanto scomodo sia per gli altri. Nello stesso tempo che indulge alla sua
gola lei pensa di star praticando la virtù della temperanza. In un ristorante affollato è capace di dare una piccola scossa al
piatto che qualche affaticata cameriera le ha posto davanti e dire "Oh, è troppo, veramente troppo! Portatelo via e datemene
solo un quarto". Se qualcuno si permette di farle notare la cosa, dirà che fa questo per evitare gli sprechi; in realtà lei lo fa
perché la particolare sfumatura di delicatezza alla quale l'abbiamo inchiodata è offesa alla vista di una quantità di cibo
superiore alla sua voglia.
Il valore reale del quieto, e discreto lavoro che Bavoso ha fatto per anni in questa vecchia dama può essere apprezzato
dal modo con il quale ormai il suo ventre domina tutta la sua vita. La donna è in quella situazione che si potrebbe chiamare
il "Tutto-ciò-che-voglio..." stato della mente. Tutto quello che lei desidera è una tazza di tè ben fatto, oppure un uovo ben
sodo o una fetta di pane abbrustolita al punto giusto. Ma non trova mai una cameriera o un amico che riesca a fare queste
semplici cose "alla giusta maniera", perché la sua "giusta maniera" nasconde una insaziabile domanda per gli esatti, e quasi
impossibili, piaceri del palato che lei immagina di ricordare dal passato; un passato descritto da lei come "i giorni in cui si
potevano trovare delle buone cameriere", ma da noi conosciuto come il tempo in cui i suoi sensi erano soddisfatti più
facilmente e lei aveva piaceri di altro tipo che la rendevano meno dipendente dai piaceri della tavola. Nel frattempo, le
quotidiane delusioni producono quotidiani cattivi umori: il cuoco dà gli otto giorni e le amicizie sono raffreddate. Se anche il
Nemico introduce nella sua mente il più tenue sospetto che lei è troppo interessata al cibo, Bavoso contrattacca
suggerendole che non le importa tanto di quello che lei mangia, ma che le fa piacere "avere buone cose per il suo ragazzo".
Infatti, naturalmente, le sue attenzioni sono state una delle cause principali del dispiacere domestico del figlio per molti
anni.
Ma anche il tuo paziente è figlio di sua madre. Mentre lavori del tuo meglio, e giustamente, su altri fronti, non devi
disprezzare una piccola silenziosa infiltrazione sul fronte della ghiottoneria. Essendo un maschio, è difficile che sia preso in
trappola dalla mimetizzazione "Tutto ciò che voglio..." I maschi sono più facilmente spinti alla ghiottoneria con l'aiuto della
loro vanità. Dovrebbero essere spinti a pensare di essere veri conoscitori della buona tavola, per potersi vantare di aver
trovato l'unico ristorante della città dove le bistecche sono arrostite "alla giusta maniera". Ciò che comincia come una
piccola vanità può essere trasformata in abitudine. Ma, in qualsiasi modo tu voglia tentare, il meglio sarebbe che tu lo
spinga in quello stato nel quale il diniego qualsiasi golosità - non importa quale, champagne o tè, sogliola Colbert o sigarette
- "lo faccia andare fuori dai gangheri", da allora la sua carità, il suo senso della giustizia e l'obbedienza saranno tutte ai tuoi
piedi.
Il semplice eccesso nel mangiare è assai meno apprezzabile che la delicatezza. Il suo uso principale è una sorta di
preparazione d'artiglieria per attacchi alla castità. Per questo, ma vale per tutti gli scopi, metti il tuo uomo in una condizione
di falsa spiritualità. Non fargli mai notare l'aspetto medico. Lascialo a rimuginare quale orgoglio o mancanza di fede lo ha
messo nelle tue mani, quando una semplice analisi di quello che ha mangiato nelle ultime ventiquattro ore gli mostrerebbe
da dove vengono le tue munizioni e lo renderebbe capace con una piccola astinenza di mettere in pericolo le tue linee di
comunicazione. Se deve pensare al lato medico della castità, nutrilo con la stessa grande bugia che abbiamo fatto credere
agli inglesi, che l'eccesso di esercizio fisico e la fatica che ne segue sono favorevoli in modo speciale a questa virtù. Come mai
possano crederlo, di fronte alla notoria concupiscenza di marinai e soldati, andrebbe chiesto prima o poi. Ma abbiamo usato
i maestri di scuola per rendere popolare l'idea: uomini che erano realmente interessati alla castità solo come una scusa per
darsi allo sport, che raccomandano i giochi fisici come aiuto alla castità. Ma tutto questo affare è troppo grande per
affrontarlo in coda a una lettera,
Il tuo affezionato zio
SPIROCHETA
Dalle Screwtape Letters di C. S. Lewis - Traduzione di Carlo Striano
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